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Come nel resto del nostro paese e in moltissime città europee, trovare casa a Catania, soprattutto nelle zone centrali, è sempre più difficile. Da troppo tempo, infatti, non solo nella nostra città, l’abitazione non è più considerata come ‘bene primario’, ma è diventata un “oggetto di investimento”, con la conseguenza che sempre più persone hanno difficoltà ad accedere ad un alloggio dignitoso e il diritto alla casa è messo sempre più a rischio.

I costi degli affitti, soprattutto nelle zone centrali o dotate di servizi, continuano ad aumentare a causa dello sviluppo incontrollato di attività di ristorazione e strutture ricettive che erodono il patrimonio residenziale disponibile. A ciò contribuisce anche  una forte spinta speculativa avviata dai maggiori gruppi immobiliari che promuovono interventi di ‘recupero’ del patrimonio esistente per destinarlo ad abitazioni di lusso o attività turistiche (alberghi, b&b).

Le istituzioni, a tutti i livelli, non sembrano voler intervenire, ma anzi in troppi casi foraggiano un’idea di Città dedicata ai turisti e in cui i residenti vengono gradualmente sostituiti da nuovi abitanti, spesso transitori, che dispongono di un reddito più alto, senza, tra l’altro, offrire alternative per gli ‘espulsi’. Basti pensare alle migliaia di famiglie che, solo a Catania, da anni rimangono in lista d’attesa per un alloggio popolare, che gli spetterebbe di diritto, e all’assenza, a fronte di questa domanda abitativa, di strategie di implementazione del patrimonio residenziale pubblico, se non per alcune progettualità comunque lontane dalle zone centrali della città, o più vicine alla città ma con un partenariato pubblico privato che spesso limita l’effettiva accessibilità dei soggetti più fragili.

A questo si aggiunge un altro meccanismo, meno esplicito, ma comunque altrettanto pericoloso e in crescita: la tendenza a escludere alcuni tipi di abitanti, a prescindere dal loro reddito, perché visti come potenziali ‘fonti di degrado’ e/o profitto non sicuro. Così giovani, migranti, donne, precari, soggettività della comunità LGBTQIA+ e molte altre ancora hanno sempre meno possibilità di accedere ad un alloggio dignitoso e, quando lo trovano, i proprietari si rifiutano, spesso e volentieri, di utilizzare regolari contratti d’affitto, senza nessun controllo da parte degli organi preposti. Laddove invece l’inquilino riesce ad ottenere un contratto d’affitto, si verifica un’altra pratica, sempre illegale, in forte crescita, ovvero vietare lo spostamento della residenza, a parole o con clausole ad hoc,generando numerose situazioni paradossali in cui pur avendo un lavoro e una casa, molte persone sono costrette a richiedere l’accesso in dormitorio pubblico pur di avere la residenza o richiedere la residenza fittizia, tra l’altro sempre più difficile da ottenere e con procedure spesso molto lunghe, farraginose ed escludenti.

A fronte della risposta inadeguata da parte delle istituzioni, il dibattito pubblico cittadino su questi temi è quasi assente, alimentato solo da sindacati e associazioni attive sul problema ma che non possono da sole rispondere all’esclusione di massa dei soggetti più vulnerabili dalle politiche abitative.